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LUNEDI’ DELL’ARCHITETTURA 2023 – Venezia tra rinascite e rinascimenti

Tra rinascite e rinascimenti. L‘architettura veneziana in età moderna e contemporanea

Tra gennaio e marzo 2023 riprendono gli appuntamenti del lunedì dedicati all’architettura e curati da Paola Placentino (Università di Padova), Gianmario Guidarelli (Università di Padova) e Guido Zucconi (Università IUAV, Venezia).
Il nuovo ciclo di sei lezioni si concentra sulla capacità di Venezia di rinnovarsi e ripensarsi architettonicamente.

Nell’arco di cinque secoli, tra il Cinquecento e il Novecento, Roma e Bisanzio si alternano come modelli per Venezia, dove la nozione di rinnovamento architettonico si associa immancabilmente ad un ripensamento della propria memoria, e della propria identità; ragioni politiche e religiose, oltre che opportunità economiche, spingono la città a riflettere sulle proprie origini e ad attingervi spunti per un nuovo slancio rivolto al futuro. A differenza di altri centri (come Firenze o Milano), a Venezia, questo tipo di ricerca deve essere letto in una relazione tanto complessa, quanto variabile con i modelli del passato: più che di Rinascimento dunque è legittimo parlare di Rinascimenti.

Tra XV e XVI secolo l’adozione del linguaggio architettonico “all’antica” avviene come “rivestimento” di spazi della tradizione lagunare: palazzi, impianti chiesastici basilicali, Scuole e così via.
In questa particolarissima forma di “Rinascimento locale”, il riferimento a Bisanzio (prima ancora che a Roma) è parte dell’idea di rinascita dell’antico e porta, per esempio, alla rielaborazione del cosiddetto spazio cultuale ad quincunx, ben visibile nella chiesa di San Salvador. La forza inerziale della tradizione veneziana si fa sentire anche nell’architettura cosiddetta “minore”, nel momento in cui l’aumento demografico della città impone la costruzione di una ingente quantità di nuovi alloggi, realizzati adottando una strategia di standardizzazione tipologica e tecnologica: si tratta di una vera e propria forma di proto-industrializzazione edilizia, che mantiene però tutte le caratteristiche delle tecniche costruttive tradizionali. L’arrivo di Jacopo Sansovino a Venezia (1527) e la renovatio della piazza San Marco introducono un linguaggio architettonico ispirato alla Roma del primo Cinquecento; il paradigma cambia soltanto in modo parziale e tutte le novità (tecnologiche, linguistiche e spaziali) saranno filtrate dalle successive generazioni di proti e maestranze.

Nel secolo successivo una rinascita interessa Venezia e la sua architettura dopo la peste del 1630, che imprime una battuta d’arresto ai traffici commerciali e più in generale all’economia dello Stato. In realtà la Repubblica con i suoi cittadini si rimette in gioco presto, sia nella Dominante che nell’esteso e popoloso suo territorio. L’architettura naturalmente risente dei cambiamenti negli investimenti fondiari e delle nuove gerarchie produttive. La casa di città del patrizio-mercante e la casa-di-villa in terraferma non cessano di essere centrali nella vita dei committenti ma, a partire dall’impianto tradizionale le prime e dalle invenzioni palladiane le seconde, sono rinnovate profondamente senza tradire i modelli originari. Anche in questo caso saranno i proti o i cosiddetti ‘architetti di diletto’ (Antonio Gaspari, Girolamo Frigimelica Roberti, Giorgio Massari, Francesco Maria Preti etc.) a operare la mediazione tra la tradizione costruttiva, le necessità abitative e le novità in arrivo dalle corti europee.

In città sulla spinta delle invenzioni di Baldassarre Longhena il palazzo veneziano, pur mantenendo l’impianto della casa-fondaco, si trasforma in una articolata macchina, utile agli agi della vita cittadina e alla socialità, accogliendo raffinate soluzioni progettuali di respiro europeo. Nelle campagne la stabile presenza padronale, l’introduzione di novità agronomiche e la diffusa pianificazione dei lavori agricoli trasformano le ville, di ascendenza palladiana, da dimore temporanee in vere e proprie residenze aristocratiche, intorno alle quali gravitano nel settecento grandi aziende agricole.

Tra secondo Settecento e primo Ottocento, sullo sfondo di una Serenissima che sta scomparendo, si consuma l’ultimo atto di un’architettura  ispirata a Roma, attraverso l’opera di a Palladio. Questo vale per la teoria (Temanza, Milizia, Bertotti Scamozzi), e per il progetto ove spicca Giannantonio Selva con la sua capacità di adattare modelli all’antica a temi nuovi, come nel caso del Teatro La Fenice. Dopo la caduta della Repubblica, con l’alternanza tra governo francese e austriaco, inizia una fase di “omologazione” con ampi risvolti alla scala urbana e architettonica: da un lato con l’interramento di canali, costruzione di ponti, dall’altro con adattamento di ex-conventi a nuove funzioni di uso pubblico (scuole, ospedali, musei): ne è ottimo esempio la ristrutturazione del complesso della Carità in Accademia.

Dopo il 1848, si apre una nuova fase. Ora, la ricerca di nuovi riferimenti architettonici si indirizza verso due fondamentali fonti di ispirazione: una di matrice artistica riguarda la tradizione bizantina  tradotta in modelli da applicarsi soprattutto all’edilizia residenziale, tanto alla grande quanto alla piccola scala (ivi inclusi il villino e l’hotel). Il Lido ne costituirà il più importante campo di sperimentazione. L’altra fonte rimanda, specie dopo il 1880, alla cosiddetta “Venezia minore”, con riferimenti anche alla qualità e alla complessità dello spazio, tra calli, campielli e sottoporteghi. Fotografia, vedutismo, letteratura alimentano i modelli di una “architettura senza architetti” che troverà il suo principale campo di applicazione nell’edilizia popolare, in particolare nel Quartiere di Sant’Elena e poi, nel corso del Novecento, con le realizzazioni del Villaggio San Marco (1949-61) e del complesso di Mazzorbo (1979-82).

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